IL VIAGGIO DI ENEA
prima nazionale
L’Eneide contemporanea di Olivier Kemeid
adattamento e regia di Emanuela Giordano
produzione
Centro d’Arte Contemporanea – Teatro Carcano
Teatro di Roma – Teatro Nazionale
con
Fausto RUSSO ALESI nel ruolo di Enea
Alessio VASSALLO Acate
Carlo RAGONE Anchise, Acmenide, Re pastore
Roberta CARONIA Creusa, Sibilla
Valentina MINZONI Didone
Giulio CORSO Ascanio
Antoinette KAPINGA MINGU Lucia, Aletto, Direttrice del Resort, Agente dell’Immigrazione
Emmanuel DABONE Roberto, Boss della fabbrica, Figlio di Aletto
Simone BORRELLI, Lorenzo FREDIANI, Giordana FAGGIANO Il Coro
Scene Francesco GHISU
Costumi Cristina DA ROLD
Disegno luci Giuseppe FILIPPONIO
Regia Emanuela GIORDANO
Informazioni
“Anchise era saldo nel suo proponimento
Se mi mancherà sepoltura
il danno è lieve, ripeteva
E tu padre pensi davvero che io possa lasciarti?”
(dall’ Eneide di Virgilio )
Il mito, il viaggio, l’origine di tutte le ricerche, il fuoco della domanda che ci divora ancora oggi. Nel mito e nel viaggio ci troviamo ancora con l’Eneide. Il viaggio di Enea è il racconto poetico delle migrazioni di cui siamo spettatori involontari, partecipi e preoccupati insieme. Migrazioni per le guerre, per la fame, per la ricerca del benessere intravisto da lontano. Il viaggio di Enea è una storia familiare, quella di Olivier Kemeid e della sua famiglia, emigrata dall’Egitto al Canada, ed è insieme la storia di ogni uomo, perennemente alla ricerca di un mondo migliore, in fuga dai disastri dell’esistenza, vissuta attraverso i personaggi e i luoghi del mito di Enea.
Immaginati di essere tu quello che all’improvviso, dopo una festa, in piena notte, si ritrova con la casa bruciata, la città devastata, i nemici per le strade che stuprano e uccidono. Tu hai una moglie, un figlio e un padre anziano. Li vuoi salvare. Vuoi salvarti e salvare chi ami di più. Il resto ora non conta. Non sei un eroe, non vuoi esserlo. Alcuni ti seguono, vogliono venire con te perché di te si fidano, ma tu non vuoi altro che un pezzo di terra dove vivere in pace.
Olivier Kemeid è un drammaturgo che scrive in francese ma viene dal Nord Africa. La sua famiglia è arrivata in Canada dopo mille peregrinazioni. Olivier Kemeid ha riconosciuto, nel racconto di Virgilio, la storia di suo padre, che è la storia dell’ uomo, in fuga dai disastri dell’esistenza. Dal latino, al francese, all’ Italiano odierno, il mito compie il suo viaggio di ritorno, offrendoci nuove riflessioni. L’ Enea di Virgilio supera le insidie del viaggio grazie alla divina, materna, benevolenza. L’Enea di Kemeid, che pure si rifà, in tutto e per tutto al racconto virgiliano, non ha santi in paradiso, ed è per questo più spaventato, più stanco e meno pio.
Mitologia, sogno, ironia, capovolgimento dei ruoli ( i neri al posto dei bianchi e viceversa). Per una volta, l’esodo biblico che cambierà il volto dell’ Europa, nel giro dei prossimi cinque anni, viene raccontato da chi è costretto a partire. Non c’è enfasi, non c’è retorica e nemmeno vittimismo. C’è, in primo piano, solo la necessità di sopravvivere. Enea è un giovane uomo che vive un continuo conflitto di coscienza: pensare a se o pensare anche agli altri? Sopravvivere in clandestinità o rischiare, per ritrovare dignità e rispetto di se stesso? Ascanio, suo figlio, divenuto grande, riordina frammenti di ricordi, così come gli sono stati raccontati dal padre Enea. Ne ricostruisce il viaggio, i rapporti, gli amori, i dubbi, l’approdo, che è, per ora, solo una speranza.
Io credo in un teatro che si costruisce in scena, con i corpi e le intelligenze vive degli attori. Questo testo è quindi ancora una trama aperta, la traccia di un viaggio che si può compiere solo con attori capaci di mettersi completamente in gioco.
Enea/ coro (dall’ Eneide di Virgilio )
E’ arrivato l’ultimo giorno
Il tempo inevitabile della nostra rovina
Hanno già assediato le strade
E stanno con le armi pronti a far di noi
strage e macello
Le grida disperate della gente feriscono il cielo
Dovunque si vada, di cadaveri, di sangue
d’ atrocità sono piene le vie, le case, i templi
Perché Dio ci esponi a tanto dolore?
Richiamati dalle grida arrivammo a Palazzo Reale
Li si combatteva come se non ci fosse altra guerra al mondo
come se non ci fosse altro luogo che quello per morire
Travi di legno, fregi d’oro, tutto è scagliato contro il nemico
Perché se fine era, era fine d’ogni cosa, e per tutti fine
Povere donne lacerate dal dolore si battevano i petti
Come un fiume in piena il nemico invase le sale
E tutto fu strage e fu rovina
Ho voluto inserire nel testo di Kemeid segni tangibili dell’Eneide di Virgilio, cercando e traducendo con asciuttezza quei versi che con più aderenza si fondono in questa moderna riscrittura. Ogni scena è così cadenzata da evocazioni dell’opera originale, rendendo più evidente il nesso tra il mito e la contemporaneità. Virgilio scrive in una Roma capitale dell’Occidente che ha superato da poco guerre civili e grandi rivolgimenti politici. La pax augustea, voluta da Ottaviano, ha bisogno di un mito di fondazione che renda sacra la città. Oggi di questa sacralità romana resta traccia solo nelle rovine archeologiche, eppure il mito di Enea non ha perso il suo fascino.
Cosa mi attrae di questo eroe così diverso da Ulisse? Enea non si vergogna di soffrire, è un eroe che piange e piange spesso, mostrando la sua fragilità ma è al tempo stesso capace di reagire e di lottare. Enea non parte per conoscere il mondo. Costretto a fuggire, si carica sulle spalle il padre, tenendo tra le braccia un figlio. Nessi e analogie ci delineano un eroe precristiano, l’ uomo della pietas ma salta agli occhi anche una sorta di “ correlazione oggettiva” con il nostro presente, non analizzarla, non approfondirla, sarebbe un’omissione. Il confronto con il mito diventa così anche strumento per cogliere temi essenziali del nostro vivere contemporaneo, che affronterò prima di tutto con gli attori coinvolti nella messa in scena, attori che dovranno fare i conti con loro stessi, senza filtri.
Non bastano bravi professionisti, il teatro che amo di più ha bisogno di interpreti unici, esseri umani disposti ad aderire con sensibilità e passione a quella che io chiamo la ricerca di un respiro comune, quella capacità di concertazione che possiamo raggiungere solo quando impariamo ad ascoltare l’altro in scena, consapevoli di abitare l’ultimo spazio sacro ( e laico ) del pensiero che si trasforma in energia, luce, musica e racconto, ogni giorno diverso, mai meccanicamente replicabile. Sconfineremo fuori dalla quarta parete che ci divide dal pubblico, per chiedere agli spettatori di essere con noi, di verificare la sincerità delle nostre domande, dei nostri dubbi, delle nostre speranze.
Emanuela Giordano