I 100 ANNI DELLA GRANDE GUERRA<br>LA PAURA

I 100 ANNI DELLA GRANDE GUERRA
LA PAURA

Prima Nazionale

I 100 ANNI DELLA GRANDE GUERRA<br>LA PAURA
Informazioni

con Massimo Salvianti

ARCA AZZURRA TEATRO
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Toscana
Comune di San Casciano V.P.

LA PAURA
dall’omonimo racconto di Federico De Roberto

drammaturgia e regia Daniela Nicosia
con Massimo Salvianti

Assistente alla regia Lucia Socci

Elementi scenici Lucia Socci
Costumi Giuliana Colzi
Luci e Suono Marco Messeri

Organizzazione Costanza Gaeta, Tiziana Ringressi
Amministrazione Valentina Strambi

Si ringrazia
Francesco Bavetta, Luigi Fiorentino, Rodolfo Orlandini, Giulio Ravagli, Paolo Pollo Rodighiero, Federico Stampa

Informazioni

Prima nazionale

Una prima nazionale attraverso la quale il nostro teatro, punto di riferimento e “casa” delle manifestazioni culturali del territorio, ha voluto ancora una volta farsi parte attiva e propositiva proponendo all’interno di uno dei più importanti fra questi eventi-il festival pordenonelegge.it-uno spettacolo che testimoniasse i temi della memoria storica e sociale. Con La paura l’Arca Azzurra affronta un testo sulla Grande Guerra in occasione del centenario dell’attentato di Sarajevo e dell’inizio delle ostilità che porteranno per più di quattro anni distruzione e morte in mezza Europa.

Il testo e il racconto
Testo straordinariamente emozionante e forte, La paura di Federico de Roberto, adattato e messo in scena da Daniela Nicosia, è un racconto di trincea, fulminante spaccato narrativo nel quale si concentrano gran parte delle problematiche legate agli eventi di quegli anni di sanguinosissima guerra, alle sue implicazioni sociali, al suo impatto sulla società italiana del tempo, che proietta la sua ombra fino alla sua attuale composizione, grande specchio delle nostre “diversità” geografico-linguistiche e sociali, delle disparità di ceto, del disprezzo delle alte gerarchie militari per la vita stessa dei semplici soldati, dell’atteggiamento di sospetto e di sfiducia tutt’altro che malriposto e tutto italiano nei confronti dell’autorità.

Un racconto concentratissimo e magnifico con il quale Massimo Salvianti, attore monologante, porta il pubblico nella quotidianità della vita di trincea, su uno dei più inospitali costoni delle Alpi Venete, in mezzo al popolo della guerra, contadini, artigiani, piccoli commercianti che si scambiano battute in dialetti a volte così diversi da sembrare lingue totalmente estranee l’una all’altra, a fare i conti, giorno dopo giorno, con la paura della morte, in un rapporto per ciascuno diverso come e più delle lingue con le quali questo popolo parla.

Il libro
La paura tratteggia in una vicenda di poche ore l’universo umano e della natura dispiegato nella “guerra bianca”, quella del fronte nord, in alta montagna fra neve e rocce.Un avamposto italiano, in un luogo del fronte “spaventoso, ma in compenso tranquillo”, viene scosso, dopo il cambio di contingente nemico. I boemi che “l’avevno ditto, che non avressono sparato”, vengo sostituiti da ungheresi.

Uno di questi, cecchino di rara precisione, comincia a bersagliare e uccidere gli italiani che a turno montano di guardia su una piazzola all’imbocco di un canalone particolarmente importante “poiché solamente di lì i nemici potevano tentare una sorpresa”. E quindi “gli ordini portavano che quel passaggio fosse continuamente esplorato dall’alto, e precisamente dal punto già designato per la postazione d’una mitragliatrice alla quale si era poi dovuto rinunziare non essendo riuscito possibile mascherarla”.

Aspettare il proprio turno di guardia sulla piazzola diventa una terribile attesa, piena di paura, di una morte quasi certa. “Ma se la morte è acquattata, vigile, pronta a balzare e a ghermire; se bisogna andarle incontro fissandola negli occhi, senza difesa, allora i capelli si drizzano, la gola si strozza, gli occhi si velano, le gambe si piegano, le vene si vuotano, tutte le fibre tremano, tutta la vita sfugge; allora il coraggio è lo sforzo sovrumano di vincere la paura; allora la volontà deve irrigidirsi, deve tendersi come una corda, come la corda del beccaio che trascina la vittima al macello”.

Il racconto è un crescendo di angoscia e tensione, con al centro il ta-pum delle fucilate del cecchino e il conflitto interno al tenente Alfani, che comanda quel plotone, fra il dovere, sentito e forte, di obbedire ai comandi e la consapevolezza dell’assurdità della morte dei soldati che via via il turno spinge a far bersaglio per il cecchino. Il finale è uno scioglimento sorprendente. (…)
Luigi Gavazzi, Panorama.it

Federico De Roberto
Nato a Napoli nel 1861, De Roberto si trasferì nel 1870 con la madre vedova a Catania, città che non abbandonò più, a eccezione di un decennio (1888-97) di permanenza a Firenze e Milano e dove strinse amicizia con Capuana e soprattutto con Verga, grazie al quale, a Milano, entrò nel novero dei collaboratore del Corriere della Sera. I suoi esordi di narratore avvennero all’insegna del Verismo, alla cui poetica continuò a fare riferimento nel corso della sua lunga attività di scrittore. Nel decennio milanese De Roberto pubblicò numerose raccolte di racconti, tra le quali Documenti umani (1888), L’albero della scienza (1890), Processi verbali (1890); pubblicò inoltre il romanzo L’illusione (1891), il primo dedicato dallo scrittore al ciclo della nobile famiglia Uzeda; seguiranno I Viceré (1894), considerato il suo capolavoro, e quindi L’imperio (pubblicato postumo nel 1929).

De Roberto approfondì inoltre la filosofia del Positivismo in numerosi saggi, sia di argomento letterario (Leopardi, 1898; L’arte, 1901), sia dedicati, con taglio prevalentemente scientifico, alle problematiche dell’amore: La morte dell’amore (1892), L’amore. Fisiologia, Psicologica. Morale (1895) e altri.
Allo scoppio della prima guerra mondiale De Roberto fu un acceso interventista (come mostrano gli articoli in Al rombo del cannone, 1919), salvo poi pentirsi della scelta e rivedere le proprie tesi nel racconto La paura, del 1921, in cui fornì una rappresentazione tragicamente realistica della vita in trincea. Nel 1920 uscirono altri due volumi di racconti: La cocotte e Ironie.

De Roberto morì a Catania nel 1927. Postumo uscì il volume di scritti critici da lui affettuosamente dedicati all’amico Verga, dal titolo Casa Verga e altri saggi verghiani (1964).