LE DONNE GELOSE
di Carlo Goldoni
regia Giorgio Sangati
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace
trucco e acconciature Aldo Signoretti
personaggi ed interpreti
Lugrezia Sandra Toffolatti
Giulia Valentina Picello
Boldo Sergio Leone
Tonina Marta Richeldi
Todero Leonardo De Colle
Orsetta Sara Lazzaro
Chiaretta Elisa Fedrizzi
Baseggio Ruggero Franceschini
Arlecchin Fausto Cabra
Siora Fabia Federica Fabiani
Maschere/servitori del ridotto David Meden, Daniele Molino, Nicolò Parodi
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Lo spettacolo è in dialetto veneziano con sovratitoli in italiano.
Informazioni
In un cartellone molto attento alle dinamiche economico-sociali che muovono anche la realtà dei sentimenti e delle relazioni private, il chirurgo della nuova borghesia, della fine del ‘700 in direzione di una ancora non definita società industriale, l’autore che ha suggerito anni fa a Ugo Gregoretti un documentario, Viaggio a Goldonia, quasi che la summa delle sue opere potesse essere considerato un pamphlet su quella società proiettato sulla nostra, è perfettamente in linea.
“Questa, Lettor carissimo, è una Commedia veneziana, venezianissima…”, scrive Goldoni nella prefazione di Le donne gelose, la sua prima commedia scritta interamente in dialetto, messa in scena nel 1752, che segna il passaggio dalla maschera all’attore. L’ambiente è il sestiere ristretto e meschino di una città che è di per sé un mondo separato dal mondo, eppure tutto sembra scritto per noi. La crisi morde, i negozi soffrono, i piccoli commercianti si fanno la guerra, le fortune si mettono in gioco e alla fortuna del gioco si affidano illusorie speranze, su tutto dominano il denaro e l’incubo di diventare poveri. Lo sfondo, poi, è il Carnevale, la voglia di festa continua. Insomma, l’Italia. Giorgio Sangati, regista poco più che trentenne, interpreta una delle opere meno frequentate di Goldoni correggendo qualche luogo comune, imprimendo la sua visione su una commedia che fa ridere molto, di noi, anche amaro.
NOTE DI REGIA
“È un mondo chiuso, claustrofobico, senza contatti con l’esterno, autoreferenziale, segnato prima ancora che dalla crisi economica da una deriva morale che trascina i protagonisti in un vortice di dipendenza patologica dal gioco, in un turbine di gelosie e invidie deliranti. I rapporti umani sono miseri, ipocriti; le relazioni corrose, ammuffite, perennemente condizionate da motivi economici; l’intimità è squallida, segnata da insulti e botte. Imperano il culto del denaro e una fiducia ossessiva nell’azzardo: solo la sorte infatti può alleviare l’angoscia di (ri)cadere nella miseria, ma si tratta di un sollievo temporaneo per un mondo dal destino ormai segnato. Nessuno lavora, ma le energie si sprecano, tutti si affannano, si inseguono, si consumano, senza trovare una via d’uscita, come in un labirinto in cui si gira a vuoto e si ritorna sempre al punto di partenza”.
Goldoni alterna in un montaggio compulsivo interni ed esterni, alto e basso, privato e pubblico: si avverte nel testo una sconnessione, un disordine, l’entropia di una cultura che ha perso definitivamente la sua centralità. Al campiello come luogo di incontro, di scontro, ma anche di festa, si sostituisce il mestissimo Ridotto dove ognuno, protetto dall’anonimato della maschera, può spiare gli altri sperando di non essere riconosciuto.
“È una Venezia anomala, scura, silenziosa semideserta. Perfino il Carnevale rimane sullo sfondo, confinato fuori scena. La festa per eccellenza del rovesciamento, in cui si può fingere di essere ciò che non si è, non può coinvolgere un ceto che può rovesciarsi solo nel proprio vuoto di valori. L’unico piacere (sadico) per i protagonisti sembra derivare dalla contemplazione delle disgrazie altrui. È il trionfo di un individualismo suicida: non a caso questa generazione non ha figli, al limite allievi addestrati ad affrontare un mondo che non fa sconti”.
Giorgio Sangati
RASSEGNA STAMPA – Estratti
Lo spettacolo è suggestivo e pensoso, anche grazie all’ottimo ensemble e alle livide scene lagunari di Marco Rossi. Seducente l’atmosfera lugubre e mortifera del dramma, giusto omaggio al lato saturnino e cupo di Goldoni.
Camilla Tagliabue, il Fatto Quotidiano
Le donne gelose è un “dramma” livido e cupo. I borghesucci protagonisti si mostrano da subito una umanità corrotta, sporca, come i vestiti di Gianluca Sbicca, stinti nei loro colori pastello, i risvolti macchiati, unica concessione al tempo di Goldoni, perché per il resto l’ambientazione di Marco Rossi è una semplice pedana nera circondata dall’acqua. E con l’acqua, una malinconica e notturna pioggia ‘vera’, si apre il sipario su questa Venezia spettrale.
Resta la cura consapevole, elegante dell’allestimento e la bella scena finale con il bravo Fausto Cabra, l’Arlecchino, ormai sbiadito e senza colori, che si perde, come una vecchia immagine abbandonata, sotto la pioggia livida.
Anna Bandettini, la Repubblica