RICCARDO TERZO
ALESSANDRO GASSMANN RIII
di William Shakespeare
***
GASSMANN CANCELLA LA TOURNÈE DEL “RICCARDO III”
ALESSANDRO GASSMANN
RIII – RICCARDO TERZO
di William Shakespeare
traduzione e adattamento di
Vitaliano Trevisan
con
(in ordine di apparizione)
Alessandro Gassmann (Riccardo)
Manrico Gammarota (Tyrrel)
Mauro Marino (Edoardo, Stanley, Margherita)
Marta Richeldi (Elisabetta)
Giacomo Rosselli (Rivers, Catesby)
Marco Cavicchioli (Clarence, Hastings)
Sabrina Knaflitz (Anna)
Sergio Meogrossi (Buckingham)
Emanuele Maria Basso (Richmond, Sindaco)
e con la partecipazione di
Paila Pavese (Duchessa di York)
ideazione scenica e regia
Alessandro Gassmann
scene Gianluca Amodio costumi Mariano Tufano
musiche originali Pivio& Aldo De Scalzi
light design Marco Palmieri
videografia Marco Schiavoni
Informazioni
“E’ come se non avessi sfumature, se non sono il primo mi sento l’ultimo”.
Riccardo III
Grande testo shakespeariano, Riccardo III, che ha per protagonista un re crudele, ambizioso, manipolatore, ma anche insicuro, tormentato, spaventato dalla solitudine. Alessandro Gassmann sceglie un adattamento e una messa in scena contemporanea, piena di rabbia e di passione.
Note di regia
La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un capolavoro di William Shakespeare non è disgiunta dal felice incontro artistico con Vitaliano Trevisan. Ho sempre avuto nei riguardi del Bardo, forse per l’incombenza di gigantesche ombre familiari, un certo distacco, un approccio timoroso; le messe in scena dei suoi capolavori, lo confesso, non sono mai riuscite a coinvolgermi del tutto, forse per la difficile sintonia con un linguaggio così complesso e articolato ma anche, in molte traduzioni, oscuro e arcaico. Un “ostacolo” che mi ha sempre impedito di immaginare una messa in scena in grado di restituire l’immensa componente poetica ed emozionale e allo stesso tempo di innervare di asprezza contemporanea il cuore pulsante ed immortale dell’opera shakespeariana attraverso il registro comunicativo a me più congeniale, ovvero quello della modernità e dell’immediatezza.
La lettura di un adattamento di un testo “minore” di Goldoni curato da Trevisan, sorprendentemente moderno e originale ma al tempo stesso accurato e rispettoso dell’autore, ha fatto scattare in me l’idea che quel tipo di approccio potesse essere non solo possibile ma altrettanto efficace nei riguardi dell’opera di Shakespeare che da anni sognavo di rappresentare: Riccardo III.
I primi incontri con Trevisan e i successivi scambi di opinione non hanno fatto altro che confermare questa prima impressione; ci siamo trovati concordi nell’idea di trasmettere i molteplici significati di questo capolavoro attraverso una struttura lessicale diretta e priva di filtri, che liberasse l’opera da ragnatele linguistiche e ne restituisse tutta la complessità, la forza, la bellezza e la sua straordinaria attualità.
Il “nostro” Riccardo, col suo violento furore, la sua feroce brama di potere, la sua follia omicida, la sua “diversità” dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico di oggi (mi auguro in gran parte formato da giovani), trasportandolo in un viaggio affascinante e tragico, attraverso le pieghe oscure dell’inconscio e nelle “deformità” congenite dell’animo umano.
La recensione
(…) L’opera ufficialmente è una drammatizzazione del momento culmine della Guerra delle due rose, tra i Lancaster e gli York, dove muore Riccardo III, re malvagio sì, ma non più di tanti altri re inglesi. La verità storica, però, non è il centro dell’opera: nella vicenda di Riccardo III che in un paio d’ore uccide almeno dieci persone, manipola altrettanti destini, diventa re e muore, Shakespeare rappresenta il mondo, l’esercizio di odio di una umanità. E la giudica.
Alessandro Gassmann, al suo primo Shakespeare da regista e interprete , sembra affascinato, come Fanny e Alexander nel film di Bergman, dalla magia e dalla morte che c’è nel genio inglese, tanto da fare di Riccardo III (ribattezzato RIII- Riccardo terzo in questa nuova produzione dello Stabile del Veneto), una novella cupa e visionaria, una macchina della paura, delle tenebre interiori (le belle scene-proiezioni di Gianluca Amodio tutte stanze buie e ombre gotiche) e con slancio alla Tim Burton gioca con le mode, i tempi, gli stili, esagerando i personaggi nel trucco, nel costume (di Mariano Tufano) come fossero fumetti, mescola antico e moderno e infatti ci si seduce al suono di Got a woman di Ray Charles e ci si ammazza sulle note di Brothers in arms dei Dire Straits come nella bella scena finale. Gli dà man forte, la traduzione e adattamento di Vitaliano Trevisan. Lo scrittore veneto ha operato non solo una modernizzazione linguistica ma anche una semplificazione dell’originale, che ogni tanto fa storcere il naso: sottolineando l’aspetto di drammone e dunque gli infiniti intrighi, trame, gratuiti delitti e colpi di scena, ha inevitabilmente portato in primo piano personaggi di solito più marginali come il killer Tyrrel (il bravo Manrico Gammarota), o lo stesso Buckingham di Sergio Meogrossi.
Ma soprattutto ha svuotato la tragedia shakesperiana più introspettiva e ricca di monologhi del protagonista insieme a Amleto, per farne un dramma corale che la regia restituisce con caratterizzazioni volutamente sopra le righe, Marco Cavicchioli che fa Clarence e Lord Hasting in chiave comica, il ridicolo sindaco di Emanuele Maria Basso, il conte Rivers di Giacomo Rosselli; perfino le donne, le uniche nell’originale a mostrare un po’ di sale in zucca, risultano maschere animate, la Lady Anna di Sabina Knaflitz, Elisabetta di Marta Richeldi , la duchessa di York di Paila Pavese, e la Margherita en travesti di Mauro Marino.
Diverso il discorso per Gassmann-Riccardo: il suo modo di essere attore, per la prima volta in un confronto diretto col padre che fu Riccardo nel 68 con Luca Ronconi , è decisivo: col corpo fuori misura grazie a una zeppa interna agli scarponi che lo alza di dieci centimetri e rende la sua camminata goffa, impacciata, vestito con un lungo pastrano militare come i soldati espressionisti di Grosz, il viso stravolto da un trucco pesante (che non riesce però a imbruttirlo più di tanto), è un Riccardo sfrontato e cacciapalle più che sgradevole e pericoloso, un gigante frastornato il cui meccanico desiderio di uccidere è più una forma di sofferenza che di malvagità. Tanto che alla fine non lo si odia. Anche perché gli altri non sono meglio di lui, non sono più puliti, onesti, generosi o più buoni e meno aridi. Il vero delitto, lì, è il vuoto di umanità generale.