Anna Bonaiuto
La Divina Sarah
da Memoir di Sarah Bernhardt di John Murrell
adattamento di Eric-Emmanuel Schmitt
traduzione di Giacomo Bottino
con Gianluigi Fogacci
regia Marco Craniti
scenografia Francesco Scandale
costumi Maria Filippi
musiche Paolo Daniele
luci Marco Carniti
produzione Teatro e Società
Informazioni
Ci sono cinque tipologie di attrici: le cattive, le passabili, le brave, le grandi e poi c’è…Sarah Bernhardt
(Mark Twain)
NOTE DI REGIA
La divina Sarah è un atto d’amore per una diva immortale del teatro. Sarah Bernhardt. Una donna che con la sua arte e le sue stravaganze ha costruito il primo esempio di divismo della storia dello spettacolo al femminile. Una rivoluzionaria anticonformista che per prima si impose sulla scena mondiale in abiti maschili. Un mito vivente che riscrive il suo tumultuoso percorso di vita sulla pelle del segretario-schiavo, con il quale si instaura un divertente e surreale rapporto sadomasochistico. Una partita a due dove è protagonista il gioco degli attori, grazie al tono ironico rapido e cinico delle battute e al continuo entrare e uscire dalla finzione teatrale .
Un testo poetico e crepuscolare e un inno alla vita. L’Arte, motore della vita.
Sarah Bernhardt al tramonto di una carriera planetaria entra in un pessimismo cosmico, faustiano. Un amaro bilancio del suo privato fa sanguinare ferite mai rimarginate.
Una ambigua seduta psicanalitica nella quale Sarah Bernhardt, regista di se stessa, vuole far riapparire, attraverso un improvvisato laboratorio teatrale, i protagonisti della sua vita, per rivelarci l’origine della sua disperazione come essere umano. Un’ auto-analisi spietata dei suoi rapporti personali e l’urgenza di dire quello che non era mai riuscita a dire. Il baratro del passato e la fragilità dell’essere di fronte alle scoperte del nuovo secolo.
La ricostruzione dei “memoire” è la possibilità per rilasciare un’autodifesa come ultima testimonianza, rivendicando un diritto concesso a tutti quindi anche all’artista: il diritto all’odio.
Un testo sarcastico dove il comico e il drammatico di alternano per la costruzione di una grande personalità d’artista. E ne svela l’umano che si nasconde dietro la maschera, la ferita che sta dietro ad ogni arte e di cui ogni arte si nutre.
Una Sarah Bernhardt messa a nudo. Iconica, grottesca, esasperata e disperata di fronte a quello che per lei non dovrebbe mai arrivare: la parola fine.
Marco Carniti
SARAH BERNHARDT
Sarah Bernhardt nasce a Parigi nel 1844. Attrice teatrale, voleva essere la migliore e la più grande. Impresaria di se stessa, eccentrica e spregiudicata nella vita, in scena lavora con disciplina, sempre convinta di essere “la più grande attrice del mondo”. Amica di D’Annunzio, prima dell’ingresso di Eleonora Duse nella vita del vate, vive gli anni d’oro del teatro. Fra i suoi grandi successi vi furono Théodora’ di Sardou, ‘La dame aux camélias’ di Dumas figlio; ‘Ruy Blas’ e Hernani di Hugo e Phèdre di Racine. Muore a Parigi nel 1923.
LA RECENSIONE
Che sfida confrontarsi con Sarah Bernardt. Da far tremare i polsi, considerata l’aura leggendaria che circonda “la divina”, la cui fama potrebbe equivalere a quella di una rockstar di oggi. Una fama che però si registrava per la prima volta con un secolo d’anticipo rispetto alla “cultura di massa”. Un fenomeno che l’avrebbe fatta uscire dalla semplice dimensione storica per farla entrare in quella del mito.
Per raccontare una simile personalità, le sue avventure, le sue eccentricità, occorre una personalità altrettanto forte, ma anche un metodo per non lasciarsi prendere la mano, esagerare. Ecco quindi il primo dei meriti di Anna Bonaiuto. Altro merito è quello di aver adottato l’adattamento dello scrittore e drammaturgo francese Eric Emmanuel Schmitt (tradotto da Gianfranco Bottino) del testo Memoir, scritto negli anni ’70 dal drammaturgo statunitense naturalizzato canadese John Murrell. Infine il merito del regista Marco Carniti di aver puntato su una messinscena che si avvicina all’onirico e non vuole rappresentare la Bernhardt ma evocarne le atmosfere, coadiuvato dalla scenografia elaborata con Francesco Scandale.
Sulla scena non c’è la giovane “divina”, ma quanto di essa ricorda l’attrice ormai agli ultimi tramonti, alle prese con la stesura delle sue memorie con il suo segretario tuttofare Pitou, interpretato dal brillante Gianluigi Fogacci. E nell’ultimo scampolo di umanità, la “divina” appare spesso come una bisbetica, come sempre irruente, irrefrenabile e contraddittoria. E il povero Pitou stenta a tenere il suo ritmo, cercando di arginare le pulsioni autodistruttive dell’attrice.
Oppure appare cinica per nascondere il coraggio delle scelte anticonformiste della sua carriera e della sua esistenza, segnata da successi inauditi e scandali, bizzarrie (avere un coccodrillo come animale di compagnia, dormire in una bara “per carità, non di mogano che detesto, ma legno di rosa”) e sventure (la gamba amputata in seguito alla caduta da un praticabile).
Ma è anche una Sarah Bernhardt che sfoggia uno humour da gran dama, e che vorrebbe trovare il senso della sua vita, coinvolgendo Pitou in una sorta di psicodramma dedicato ad alcuni personaggi che hanno segnato la sua esperienza (ad esempio l’impresario americano, la suora del collegio). Fino all’incontro con un altro mito al crepuscolo, Oscar Wilde, sulla spiaggia di Saint Tropez. “Promettetemi di non morire”, le chiede lo scrittore. “Ci penserò”, risponde lei. E sottintende che per una figura come la sua la parola “fine”, normale in un copione, non si adatta proprio. Anzi, suona come un insulto.
Carlo Francesco Conti, La stampa