ATIR<br>ALLA MIA ETA’ MI NASCONDO ANCORA PER FUMARE

ATIR
ALLA MIA ETA’ MI NASCONDO ANCORA PER FUMARE

ATIR<br>ALLA MIA ETA’ MI NASCONDO ANCORA PER FUMARE
Informazioni

di Rayhana

traduzione di Mariella Fenoglio
con Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro,  Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Marcela Serli, Chiara Stoppa

scene di Maria Spazzi
costumi di Federica Ponissi
attrezzeria di  Maria Paola Di Francesco
luci di Roberta Faiolo

regia di Serena Sinigaglia (Premio Hystrio alla regia 2015)

coproduzione ATIR Teatro Ringhiera e Theater tri-buhne Stuttgart

Informazioni

Nove storie vere, di vita, contraddizioni, tragicità e ironia – in questo secondo appuntamento con il percorso “L’altro” – di nove donne islamiche che rivelano le loro speranze e i loro dolori. Nove diverse protagoniste tracciano il ruolo della donna nella società islamica e indicano la difficile convivenza con la cultura patriarcale, estremista, violenta e repressiva dei propri uomini.

NOTE DI REGIA

Rayhana  è lo pseudonimo di un’autrice algerina. Non è esattamente un nome d’arte, La scrittrice ha dovuto assumere uno pseudonimo se voleva poter continuare a scrivere ciò che scrive e a pensare ciò che pensa. Anche nell’avanzata e libera Francia. Sì, perché Rayhana vive e lavora in Francia, ora. Ed è in Francia che, mentre si recava a teatro, è stata aggredita da un gruppo di integralisti islamici. Il perché è insito nel suo meraviglioso testo: “Alla mia età mi nascondo per fumare”.

Quando ho letto “ Alla mia età mi nascondo per fumare” ho provato una gioia che rasentava l’esaltazione. Quel testo che scorreva agilmente sotto i miei occhi aveva tutte le caratteristiche che da sempre cerco spasmodicamente in un testo teatrale. Coralità. Ruoli importanti per tutte e nove le attrici. Generalmente nei testi teatrali su dieci ruoli, otto sono per attori, due per attrici. Qui tutto diverso: solo donne e tante e tutte impegnate in un lavoro stimolante e arricchente. Una dimensione tragica, raccontata però con grande ironia e autoironia. Grandi temi d’attualità, toccati con la sapienza di chi li conosce bene, per averli vissuti sulla propria pelle, e con la leggerezza (di calviniana memoria) che, sola, restituisce forza e incisività alla scena. Insomma il massimo per una regista come me. Una storia vera, semplice, diretta, piena di vita e contraddizioni, e per questo, forse, anche più pericolosa.

L’azione si svolge ad Algeri, ai giorni nostri. Siamo in un hammam, nel giorno riservato alle donne.Quel giorno, però, sarà diverso da tutti gli altri. Nove personaggi, nove donne algerine, si trovano, malgrado loro, a barricarsi dentro l’hammam, per sfuggire all’ira di parenti e uomini barbuti che reclamano il diritto di punire una di loro, ritrovata incinta senza il consenso dei genitori. Tra i vapori e le acque delle vasche si crea un’intimità speciale tra queste donne, le quali, a turno, ci rivelano le loro storie, le loro speranze, i loro dolori, le loro rabbie. E’ uno spazio protetto l’hammam, un luogo sospeso, lontano dai clamori e dai rumori della città, un posto caldo e accogliente, dove ci si può “spogliare” e confidare anche i segreti più delicati. Ogni personaggio ha il suo punto di vista, ogni personaggio è diverso dall’altro per età, condizione sociale, destino più o meno sfortunato, speranza, disillusione e convinzioni religiose. Una cosa, però, li accomuna tutti: il ruolo della donna all’interno di una società come quella islamica. Ci immergiamo, così, nel mondo delle donne islamiche, nella loro difficile convivenza con la cultura patriarcale, estremista, bigotta, violenta e repressiva dei propri uomini. E’ un viaggio che ci commuove e ci smuove e ci fa riflettere. E’ una denuncia, certo, perché nessuno al mondo dovrebbe essere costretto a sposarsi a dieci anni, a rinunciare agli studi, a diventare terrorista per riscattare una vita fatta di abusi e ingiustizie. Ho scelto nove straordinarie attrici e con loro ho preparato una mise en espace, nella speranza che lo spettacolo possa trovare qualcuno che lo produca e lo protegga come merita che sia. Non è mai stato fatto in Italia, mentre in Francia ha riscosso un enorme successo tanto da indurre Costa-Gavras a trasformarlo in un film che con ogni probabilità vedremo presto a Cannes.

Serena Sinigaglia

LA RECENSIONE

(…) Si crea un’intimità̀ speciale tra queste donne arabe, che rivelano le loro speranze, i loro dolori, le loro rabbie. L’hammam è uno spazio riservato, protetto, dove ci si può̀ “spogliare” e confidare i segreti più̀ intimi. Si parla in maniera esplicita di sesso, religione e di attualità ma soprattutto si denuncia una condizione femminile umiliante. Le protagoniste hanno età, convinzioni religiose ed estrazioni sociali molto diverse, eppure le accomuna la stessa condizione di sub-alternità a un mondo maschile patriarcale e repressivo: un’arretratezza che spesso si scontra con la modernità dei tempi.

La situazione è drammatica ed il finale non può che essere tragico, eppure tutta la rappresentazione è pervasa da una leggerezza che rende lo spettacolo addirittura divertente. Le bravissime attrici diventano delle macchiette, che ironizzando sulla loro situazione, fanno arrivare ancora più diretto un messaggio di denuncia civile e politica.

La forza del testo è proprio questa: mantenere l’incisività del messaggio usando un registro da commedia. L’autrice, Rayhana, costretta ad usare uno pseudonimo per proteggersi dall’ira degli integralisti, ha sperimentato la condizione di cui si fa portavoce sulla propria pelle. Proprio in Francia dove vive (la modernissima Francia, che in tutta la pièce viene citata come terra promessa) è stata vittima di un’aggressione da parte di questi ultimi. Nonostante tutto lo spettacolo continua ad andare in scena e ha riscosso successo anche all’estero.

La versione italiana è curata dalla compagnia ATIR Teatro Ringhiera, diretta da Serena Sinigaglia. Lo spettacolo si basa sulla coralità: tutte e nove le protagoniste sono importanti allo stesso modo e spesso sono insieme in scena. E’ su questo che la regista ha puntato maggiormente. Il testo viene fuori da un allestimento semplice (non ci sono cambi di scena importanti) ed i monologhi sono enfatizzati soltanto dall’atmosfera creata dalle luci e dai vapori dell’hammam. Si è voluto tenere fede alla versione originale, dando spessore a quel testo che ha subito affascinato la regista, che lo

descrive come “una storia vera, semplice, diretta, piena di vita e contraddizioni, e per questo, forse, anche più pericolosa.

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