QUELLO CHE NON HO

QUELLO CHE NON HO

Informazioni

drammaturgia e regia di Giorgio Gallione
canzoni di Fabrizio De Andrè
con Neri Marcorè
e con Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini voci e chitarre

arrangiamenti musicali  Paolo Silvestri
collaborazione alla drammaturgia Giulio Costa
scene Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani

produzione Teatro dell’Archivolto

Informazioni

Se nel lungo tragitto della vita, come insegnava il disilluso Pirandello, è facile contrare tante maschere e pochi volti, tra questi ultimi vanno cercati quelli di De André e Pier Paolo Pasolini. Allineati e coperti, i due poeti, non lo sono mai stati. Ogni volta che una definizione sembrava costringerli, ecco una virata, spiazzante. Spesso involontaria, perché la libertà non cammina su sentieri segnati, vola sul mondo, lo ridisegna, magari lo interpreta, ma senza mai rendere conto a nessuno. (Alberto Puppo, La Repubblica)

Nelle ultime stagioni Neri Marcorè ha molto frequentato il teatro musicale, esplorando tra l’altro Gaber e i Beatles e costruendo spettacoli che guardano sia al teatro civile che alla bizzarra giocosità del surreale. Dopo le felici esperienze di Eretici e corsari, Un certo Signor G e Beatles Submarine, torna a collaborare con il Teatro dell’Archivolto di Genova regalandoci un reinventato esempio di teatro-canzone, “che traendo linfa dalla visione del mondo – afferma Giorgio Gallione – e dalla poetica di Pasolini e De André, prova a raccontare l’oggi. Un tempo nuovo e in parte inesplorato in cerca di idee e ideali”.

 

LO SPETTACOLO

Scritto e diretto da Gallione, lo spettacolo si ispira appunto a due giganti del nostro recente passato, Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De Andrè, portando in scena il sentimento di indignazione civile del primo e le “anime salve” del secondo. In equilibrio instabile tra ansia del presente e speranza del futuro, Quello che non ho è un affresco teatrale che si interroga sulla nostra epoca. Lo fa raccontando storie emblematiche, anche in chiave satirica, che mettono a nudo le contraddizioni della nostra società globalizzata, dove – come affermava Pasolini nel documentario La rabbia  – continua ad esserci sviluppo senza progresso. A questo tessuto narrativo, basato su episodi di cronaca internazionale, riflessioni di carattere economico e sociale, si incrociano le canzoni di Fabrizio De Andrè, da Khorakhané a Don Raffaè a Smisurata Preghiera – poesie in musica che passano dalle ribellioni e i sarcasmi giovanili alla visionarietà dolente delle “anime salve” e dei “non allineati” contemporanei. Idealmente dallo spettacolo emerge un dialogo, etico e politico, tra le narrazioni dell’Italia e del mondo lasciateci in eredità da due artisti lontani tra loro ma curiosamente spesso in assonanza.

Storie emblematiche, quasi parabole del presente, che raccontano (anche in forma satirica) nuove utopie, inciampi grotteschi e civile indignazione. Storie di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, di esclusione, di ribellione, di guerra, di illegalità, rilette con un filtro grottesco, ghignante e aristofanesco. Così si favoleggia del Sesto continente, un’enorme Atlantide di rifiuti di plastica che galleggia al largo delle Hawaii; di evoluti roditori, nuovi padroni del mondo, che inaugurano il regno di Emmenthal, di guerre civili causate dal coltan, minerale indispensabile per far funzionare telefonini e playstation, di economia in “decrescita felice”, costruendo così un mosaico variegato di storie canzone che si muove tra satira, racconto e suggestione poetica.

L’INTERVISTA

(…) “Non è né uno spettacolo su De Andrè, né su Pasolini… non vogliamo santificare o glorificare nessuno, per carità”, precisa Neri Marcoré.

Lo spettacolo ha che fare, però, proprio con questi due grandi personaggi…
“Sì, corre su un doppio binario: le parole di Pasolini e le canzoni di De Andrè, perché ci sembravano emblematici per quello che volevamo raccontare”.

E cosa volevate raccontare?
“La nostra società così come è oggi, con tutti i suoi limiti e difetti, cercando di mantenere un certo equilibrio instabile tra ansia del presente e speranza del futuro. In scena lo facciamo raccontando storie emblematiche, anche in chiave satirica, sottolineando le contraddizioni della nostra società globalizzata. Agli episodi di cronaca e alle riflessioni economiche e sociali fanno da contrappunto le canzoni di Fabrizio De André”.

Cosa accomuna De André e Pasolini?
“Entrambi hanno una grande capacità di guardare la realtà da una prospettiva diversa. Sono provocatori e anticonformisti. Quando Pasolini diceva che bisogna abolire la tv o eliminare la scuola dell’obbligo ovviamente era sua intenzione provocare, bisognava scalfire in qualche modo la cultura generalizzata. Aveva come De André una visione diversa delle cose. Tant’è che sono stati tutti e due dei personaggi scomodi, fastidiosi per la società. Il guaio è che la società di oggi non è molto diversa da quella di allora”.

E oggi come possiamo ripartire?
“È proprio questa la domanda che cerchiamo di porci.. quelle lucciole di cui parlava Pasolini in realtà ci sono ancora, non si sono spente, spetta a noi capire come. Dipende solo da noi, l’importante è che la nostra coscienza critica non si sia addormentata. Bisogna che ognuno di noi faccia la propria parte da cittadino”.

È quello che ci direbbero di fare anche Pasolini o De André?
“Probabilmente sì, anche perché i protagonisti della nostra società sono sempre gli stessi, cambiano solo nome. Una volta l’Italia aveva una grande capacità di produrre bellezza, ora invece c’è un appiattimento dei gusti. Ancora di più, oggi, Pasolini e De André sarebbero delle voci fuori dal coro”.

Tutto sommato, però, c’è ancora qualche speranza, visto che quelle lucciole sono accese…
“Si si, ci sono, bisogna solo non farle morire… Mi viene in mente, anche se non ha niente a che fare con lo spettacolo, il documentario di Wim Wenders su Salgado: Il sale della terra. Lì si vede Salgado che torna in Brasile e con la moglie e insieme riescono a ricostruire una foresta fluviale dove c’era il deserto. È un segno di speranza. Ce la possiamo ancora fare a migliorare il mondo”..

L’Unità, Francesca de Sanctis,  10 dicembre 2015